30 set 2015

Ravenfield - Prologo



Cari lettori, vi presento il prologo della mia nuova serie di racconti brevi dal titolo Ravenfield.

Questa volta ho deciso di sperimentare un genere non del tutto mio ma che vorrei imparare a padroneggiare: il new weird. L'intento è quello di allenarmi in vista del mio prossimo romanzo che sì, sta cominciando pian piano a prendere vita.
Un abbraccio e buona lettura a tutti.



La contessina di Ravenfield, la piccola Elisabeth Mary-Josephine  Jane Ravenfield, rimase senza tata né precettore in un bel pomeriggio di luglio all’età di undici anni.
Nella villa di campagna tutti avevano intuito che fra i due fosse nata un’intesa amorosa, ma che scambiandosi galanterie nelle scuderie durante l’ora del pranzo avrebbero innervosito un cavallo facendosi travolgere, no, questo nessuno l’aveva previsto.
E così, data l’estrema unzione ai poveri moribondi con il cranio fracassato, il prete di Streambury li aveva fatti avvolgere in dei teli neri dai suoi aiutanti e li aveva fatti caricare sulla sua carrozza.
Elisabeth aveva assistito  confusa fuori dalla scuderia, senza ancora riuscire ad attribuire un preciso significato alla parola “morte”, tantomeno aveva realizzato cosa comportasse per lei la prematura scomparsa dei suoi educatori.
La consapevolezza sarebbe cresciuta poco a poco, a partire dall’istante in cui da uno dei fagotti neri portati in spalla dai becchini era scivolato fuori un candido braccio – un braccio che l’aveva circondata spesso affettuosamente.
Era stato un attimo, poi suo fratello l’aveva presa per mano trascinandola verso casa.
«Una bambina non dovrebbe assistere a certe scene», aveva borbottato mentre con la mano calda la guidava attraverso l’erba di campo incolta e i fiori selvatici.
Elisabeth lo seguiva senza opporsi, osservando come in un sogno le sue larghe spalle fendere l’aria estiva attraverso la camicia di lino grezzo.
Quella visione sarebbe ricorsa spesso nella sua mente negli anni a venire come un ricordo dolce e spensierato: l’erba alta, il profumo dei fiori al sole e le spalle sicure di suo fratello che si stagliavano contro il sole del meriggio.
La nuova tata arrivò in un giorno d’agosto inoltrato, al calar del sole.
I coniugi Ravenfield l’avevano trovata grazie ad un annuncio sul giornale; gli era parsa ben preparata nonostante i pochi anni d’esperienza. Pazienza, si erano detti, non possiamo permetterci di pagare una tata più anziana.
I Ravenfield, seppur nobili, non erano più benestanti come un tempo dopo che la maggior parte dei fratelli del conte avevano perso la vita in trincea.
Margaret A. Ewitt aveva pressappoco vent’anni; lo dimostravano i suoi abiti eleganti ma variopinti, la pelle liscia da bambina e la risata spensierata.
Quando aveva bussato al portone della villa, con il cappello di paglia con il nastro violetto educatamente in mano e i lunghi capelli castani tinti delle sfumature del tramonto, tutti i presenti erano rimasti allibiti davanti a tanta innocente bellezza – tanto da non notare neanche l’umilissima valigia di cartone ai suoi piedi.
Tranne Crow, ovviamente: il fratello maggiore di Elisabeth infatti l’aveva osservata con più attenzione del dovuto, forse, ma per questo aveva notato in lei anche dei dettagli interessanti.
Innanzitutto indossava dei vestiti che erano palesemente appartenuti a qualcun altro: per quanto avesse potuto adattarne la larghezza, era stato impossibile allungare la gonna che arrivava a scoprirle un quarto di polpaccio. Non era questo che aveva stupito il giovane Crow, quanto il bizzarro frammento di calza che si intravedeva tra l’orlo della gonna e lo stivaletto… erano forse conigli, quelli ricamati nella trama?
E poi, perché le sue mani erano coperte da quei guanti così scuri in piena estate? Crow era sicuro che a Londra se ne trovassero di più adatti per pochi spiccioli.
Ma avrebbe mentito se avesse detto che erano solo questi banali dettagli a far apparire la giovane tutrice Margaret A. Ewitt inquietante ai suoi occhi; no, quella di Crow era un’impressione del tutto priva di fondamento, una sensazione ingiustificabile, ma era sicuro che la ragazza stesse mentendo – riguardo a cosa di certo non lo sapeva.

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